Luce, elettrodomestici, cellulari, computer, mezzi di trasporto, ospedali, oggi l’energia elettrica è quello di cui la nostra società necessita di più, una risorsa senza cui non potremmo più vivere.
Da qui nasce il reportage sponsorizzato da Secop Edizioni e Komeroshi Lab, uno studio sul “disagio” dell’approvvigionamento energetico ai giorni d’oggi, legato all’inconvenienza sociale e ambientale delle scorie nucleari.
Ma da dove proviene di preciso l’energia elettrica? L’energia elettrica proviene in parte dai combustibili fossili, attraverso lo sfruttamento di fonti non rinnovabili come il petrolio, il gas naturale e il carbone. Fonti di energia alternativa per la produzione di elettricità sono le nuove fonti di energia rinnovabile (solare, eolico), i sistemi idroelettrici, geotermici, a biomassa e, quello che ci interessa maggiormente, il nucleare.
Le centrali nucleari, che generano ad oggi gran parte dell’energia elettrica nel mondo, sono centrali termoelettriche che utilizzano un ciclo di acqua / vapore per mettere in moto una turbina che, a sua volta, aziona un alternatore che genera energia elettrica.
Rispetto alla produzione di energia attraverso combustibili fossili, le centrali nucleari hanno un impatto decisamente inferiore sull’ambiente e riescono a produrre una grande quantità di energia elettrica di cui abbiamo bisogno, perché allora dovremmo preoccuparcene?
Il problema principale della tecnologia nucleare è rappresentato dalla gravità degli incidenti e la durata temporale dei loro effetti. A distanza di 30 anni dall’incidente di Chernobyl per esempio, la contaminazione delle aree colpite è sempre rilevante, l’area evacuata non è mai stata ripopolata. Il nocciolo della centrale è ancora in uno stato “plastico” (si tratta di una massa calda e semifusa come lava vulcanica) e resterà tale per decenni. Il nuovo sarcofago per contenere le radiazioni è costato oltre due miliardi di euro, progettato per durare 100 anni e non di più.
Il problema protagonista in questo reportage, è quello legato allo stoccaggio e allo smaltimento del materiale radioattivo, conosciuto come “scoria radioattiva”. Nonostante le rassicurazioni di molti tecnici nucleari infatti la difficoltà del trattamento di materiali radioattivi è legata principalmente alla gestione di sistemi industriali estremamente complessi e pericolosi, portando a possibili danni irreversibili alla salute dell’uomo e dell’ambiente.
Non si tratta tuttavia solo di costi ambientali, ma anche economici. La Commissione Europea ha calcolato circa 556 miliardi di euro, necessari per la gestione dei rifiuti nucleari prodotti dai 126 reattori attivi in Europa, le cui scorie vengono attualmente smaltite in circa 25 depositi, distribuiti fra i Paesi europei.
A fine ottobre 2020 tuttavia la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione per l’Italia che, insieme ad Austria e Croazia, è in ritardo sulla realizzazione di un Deposito Nazionale per le scorie nucleari.
In Italia infatti il referendum del 1987 per dire “no” al nucleare in Italia, ha portato nel 1990 allo spegnimento delle quattro centrali sul territorio nazionale, i cui depositi tuttavia non sono stati ancora smaltiti correttamente in depositi sicuri.
Gennaio 2021, a fronte della possibile infrazione della Commissione Europea, dopo anni di attesa, la Sogin (la Società di Stato incaricata per lo smaltimento degli impianti nucleari) ha pubblicato l’elenco di 67 zone sul territorio italiano individuate come potenzialmente idonee per ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Aree scelte in base a 25 criteri stabiliti nel 2014.
- PIEMONTE– 8 zone tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo e così via)
- TOSCANA-LAZIO– 24 zone tra le province di Siena, Grosseto e Viterbo (Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)
- BASILICATA-PUGLIA– 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)
- SARDEGNA– 14 aree tra le zone in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei e altri)
- SICILIA– 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).
Grazie a Secop Edizioni, con il prezioso contributo di Komeroshi Lab, abbiamo avuto la possibilità di studiare direttamente in una di queste zone il problema del Deposito nazionale.
Siamo in Puglia, regione in cui alcune aree sono potenzialmente idonee per ospitare il Deposito e dove, nel corso del reportage, è emersa una forte voce scientifica e politica in opposizione a questa decisione.
Il denominatore comune fra i Comuni pugliesi interessati dalla carta pubblicata da Sogin, è il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, in cui si contano diverse potenziali aree per la realizzazione del Deposito.
Il Parco è tra i più estesi a livello nazionale con i suoi 68.077 ettari compresi nei territori dei tredici Comuni (Altamura, Andria, Bitonto, Cassano Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto).
Con il consiglio del Presidente del Parco, Pasquale Pazienza, abbiamo visitato questa incredibile area naturale, famosa per le “praterie su substrato calcareo”, ricche di Orchidee in fiore, e per le incredibili rocce carbonatiche che, nel complesso raggiungono uno spessore di 3000 metri e che risalgono all’epoca del pleistocene (quella dei dinosauri, per intenderci).
Un ambiente insomma che, visto di persona, ci ha trasmesso una forte suggestione, difficile pensare che qui possa essere realizzato il Deposito Nazionale di scorie radioattive.
Il Presidente del Parco Pazienza ci ha raccontato cosa pensa riguardo a questa vicenda:
“Il Parco Nazionale è una zona di assoluta importanza, non solo a livello regionale ma anche nazionale. Il patrimonio ambientale, culturale e turistico che è racchiuso in questo Parco lo rende una zona assolutamente non idonea alla realizzazione di un deposito di smaltimento di scorie nucleari. All’interno del Parco possiamo trovare una grande quantità di punti d’interesse, come grotta Lamalunga, la cava dei dinosauri, il Pulo di Altamura, alcune necropoli, masserie e molto altro. Il suo enorme patrimonio deve essere tutelato. Il deposito annullerebbe difatti il grande valore del Parco, rendendo meno appetibile turisticamente, senza contare che, in caso di un minimo errore nello stoccaggio delle scorie, si danneggerebbe irrevocabilmente l’intero Parco.”
Non si tratta infatti solamente di un discorso di impatto visivo e di danno ambientale nel breve termine ma, come spiega il Prof. Spilotro, membro di uno dei tavoli tecnici istituiti dalla regione Puglia per rispondere al SOGIN, di un rischio molto alto a livello idrologico:
“Molte delle falde acquifere dalle quali attingiamo in tutta la Puglia si trovano nell’area del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Un contagio radioattivo comprometterebbe per decine e decine di anni le falde acquifere. Ma perché si ha così paura che un simile avvenimento possa accadere, e che la sicurezza del Deposito possa essere inadeguata? I dati che sono stati raccolti da SOGIN per stilare la mappa dei luoghi potenzialmente idonei sono totalmente inesatti. I dati su cui si fonda il loro studio risalgono agli anni 70/80, dove ogni tipo di parametro da prendere in considerazione era diverso da oggi, e la strumentazione molto meno avanzata. L’area del Parco è una zona a medio alto rischio sismico, il che ci fa già capire un’incongruenza riguardo al criterio con cui è stata selezionata.”
Queste stesse considerazioni sono state sollevate dallo stesso Professore durante alcuni tavoli di lavoro in cui la Regione Puglia, insieme a tecnici specializzati, ha stilato un Documento in risposta alla Direttiva Europea. Il 12 Gennaio 2021 è stata infatti presentata una mozione urgente in cui si spiega che il Consiglio Regionale della Puglia impegna la Giunta Regionale “a praticare ogni utile iniziative finalizzata a far desistere il governo da ogni possibilità di allocare sul territorio regionale il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.”
Per saperne di più, siamo andati direttamente negli uffici della Regione Puglia per chiarire la questione con l’Assessora regionale all’ambiente Anna Grazia Maraschio. “
“Non appena siamo venuti a conoscenza di questa scelta da parte di SOGIN ci siamo immediatamente opposti. Sono stati subito istituiti dei tavoli tecnici che potessero raccogliere le informazioni per le quali riteniamo irragionevole questa scelta. Abbiamo riscontrato una forte unità su tutto il territorio. Si è creata una rete tra Istituzioni, associazionismo e cittadini per salvaguardare il nostro territorio. Non possono piovere dall’alto simili decisioni senza coinvolgere direttamente le realtà presenti sul territorio, che vivono e si confrontano quotidianamente su ciò che vi accade e hanno pertanto un quadro più ampio. Ci auguriamo che la scelta che è stata presa possa essere rivista, anche in seguito agli accertamenti dei nostri tavoli tecnici, che hanno saputo evidenziare puntualmente ogni criticità”.
Recentemente la Commissione Europea ha deciso di includere investimenti sul nucleare, nei fondi per la transizione ecologica, ritenendola una “fonte utile”.
Inoltre molti esperti della comunità scientifica e non, si sono espressi riguardo alla necessità di creare una “commistione”: unire approvvigionamento energetico proveniente da nucleari all’avanguardia, con una produzione minima di scorie, insieme a fonti di energia rinnovabile e pulita.
Questa estrema necessità d’azione tuttavia, contrasta con il rifiuto sociale palesato dalle comunità locali per l’accoglienza ad un qualsiasi tipo di deposito di scorie, come appare evidente nel nostro reportage.
Già nelle prime fasi delle interviste portate avanti, è subito emerso il dubbio che dubbi politici, contrapposizioni ed espressioni di “rifiuto” della Direttiva Europea per il Deposito, possano naturalmente svilupparsi nelle altre 60 zone individuate come potenzialmente idonee. Effettuare studi come questo ed ascoltare pareri tecnici e politici nelle altre Regioni presenti nella lista SOGIN, potrebbe portare più o meno agli stessi risultati avuti in Puglia. Gran parte d’Italia ospita infatti aree naturali protette, bacini idrici e zone a rischio sismico, potendo quindi portare nella maggior parte dei casi il giudizio politico e scientifico a concordare sull’impossibilità di collocare il Deposito nel territorio.
Siamo quindi di fronte ad un enorme disagio sociale, che necessita di soluzioni immediate.
Investire, ancora più di quanto già si sta facendo, in un sistema di approvvigionamento energetico sostenibile, sembra un ottimo punto di partenza. Eolico, solare, idroelettrico, geotermico, tutte soluzioni sostenibili, prive di danni legati alla radioattività e al degrado ambientale, oltre che la possibilità di durare nel tempo. Anche i costi di gestione sono nettamente inferiori rispetto a quelli per la messa in opera ed il controllo di una centrale ed un deposito nucleari.
Le rinnovabili sono inoltre in grado di garantire una certa indipendenza energetica ai Paesi che investono in buone pratiche di Economia Circolare, aumentando il benessere ambientale, la qualità dell’aria, riducendo gli scarti ed aumentando di conseguenza il benessere dei cittadini.
Si tratta di un investimento nel lungo periodo che garantisce l’accesso ad un mondo migliore per le prossime generazioni, migliorando al contempo quello in cui viviamo adesso.
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Ringraziamenti: Secop Edizioni, Secop Mag
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